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TUTTI I DIRITTI RISERVATI. Il copyright appartiene ad ogni singolo autore
Pubblicazione in ordine di arrivo/The works are published in order of arrival
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Listen to Dear Dylan Audio Original.mp3 by Don_Beukes on #SoundCloud
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Dear Dylan
I often hear your words float high about giant conifers where
golden eagles roam, carrying your lament of this world to
even greater heights – Your cautionary literary essence hovering at the end
of a starry expanse as your echoes move among stars yet to be born.
I often glimpse your reflection in liquid sunsets as you linger just a little
longer to bathe in golden memories of days spent in the caverns
of your gentle mind – Contemplating the future of words raging
rotating spiralling, evolving. Your thoughts and dreams still exist
in echoes of blue in the waters of Swansea inviting feathered
orators to whisper your thoughts across vast oceans just to
return again on the shores of our brittle minds. I often wonder
about the wonder of you as you still wander along green forest paths
listening to the symphony of ancient moss and the murmurs of wise trees
of eons ago – Sharing their tiresome cries of woe. I often find myself looking
up to burnt out stars in the dead of night and the memories of light yet
to reach us but then I see you stirring the stars seeking heaven – Guided
by the lightening in your eyes. We all fear the eternal yawn as we crawl
through our winter melancholy – Desperate for a new global dawn but your
lingering legacy inspires us embraces us ignites us. A voice your voice!
You are starlight. You are sunlight. You are echoes of stars – You are us...
© Don Beukes
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Don Beukes is a South African and British writer. He is the author of 'The Salamander Chronicles' (CTU) and 'Icarus Rising-Volume 1’ (ABP), an ekphrastic collection and ‘Sic Transit Gloria Mundi’ (Concrete Mist Press). He taught English and Geography in both South Africa and the UK. His poetry has been anthologized in numerous collections and translated into Persian, French and Albanian. He was nominated by Roxana Nastase, editor of Scarlet Leaf Review for the 'Best of the Net' in 2017 as well as the Pushcart Poetry Prize in 2016. He was published in his first SA Anthology ‘In Pursuit of Poetic Perfection’ in 2018 (Libbo Publishers).
https://donbeukes.wordpress.
Dylan, ciao! Ti salutavo così sulla soglia della caffetteria di fianco al Duomo a Firenze, ricordi? Tu rispondevi: Hai! Si mangiava uno o due bomboloni e le nostre camicie leggere s'inzuccheravano: una strofinata con tutte e due le mani, sorridendo, e ripuliti davamo subito il via alla nostra passeggiata in Oltrarno fino a piazza Santo Spirito, ricca di semplicità e silenzio. Giornate estive, ma aria fresca di mattina.
Vorrei chiedere alle pietre arenarie grigio-azzurre della basilica, a quelle delle finestre e dei portali di solenni e quieti palazzi all'intorno, se potessero restituire le sonorità della tua voce, Dylan. Credo proprio che ne saranno rimasti impregnati, quando mi recitavi le tue poesie sciacquandoti la gola con il bagnato della prima birra. Salivi su una panchina, lo spiazzo era deserto. "E morte non avrà più dominio", gridavi, poi con tono severo e piano recitavi evocazioni di speranza e di unione, eventi di vento e di mare in una città di sogno e di fiume. Parlavi di boschi: "il polmone impagliato della volpe frema e gridi Amore". Svuotavi il petto di parole, mentre orecchie erano le finestre, qualcuna aperta e qualcuna coi vetri luccicanti, quasi per lacrime di contento: "Questo pane che spezzo era una volta avena...". E dalla facciata della chiesa, in alto, ci guardava discreto e benevolo il finestrone tondo ch'io chiamavo "l'occhio di Filippo" (Brunelleschi). E tu ci ridevi.
"Voglio audire italiano", sentivo dirti. Allora prendevo il tuo posto, ritto sulla panchina a recitare i miei versi: "Dio, ti manca la parola, come alle bestie che mi voglion bene!" rivolto al campanile. Oppure rivolto a te "Vien la mia spiaggia a correre, /si tornerà bambini./Lì sono giuoco i sassi/e l'aria è come vino, ti ubriaca./ Di sorrisi saranno/le parole dei canti".
Lasciando l'Oltrarno entravi in una bettola per metterti sotto braccio un fiasco di buon Chianti. Si attraversava Ponte Vecchio e arrivando al mercato si dava una carezza al porcellino. Questo rituale lo ripetevamo sempre. Poi ci si abbandonava al capriccio della ventura.
Manrico Murzi
Manrico Murzi, "poeta giramondo" (Marciana Marina , Isola d'Elba, 12 Marzo 1930), è un poeta, scrittore, giornalista e traduttore italiano. Fa parte dell'Unione Europea Scrittori Artisti Scienziati ed è ambasciatore di cultura per l'UNESCO.
I see the boys of summer...
Lo ricordo bene perché era il giorno del mio compleanno: il 23 luglio, il primo giorno del Leone, nonché il primo giorno di vacanza per i minatori del paesino di Rio Mare, che eri destinato a sconvolgere per due settimane con il tornado della tua presenza. Da qualche giorno ero ritornata anch'io nel luogo della mia infanzia da Firenze, dove mi ero appena laureata in Lettere: la prima che aveva studiato, nella mia famiglia di semplici pescatori. Al mio arrivo, in realtà, mi ero ritrovata displaced in quell’ambiente che avevo abbandonato quattro anni prima; così, sospesa fra due mondi, quello intellettuale nel quale mi ero appena affacciata e quello ancestrale, rappresentato da questo paese coloratissimo, ma immoto, fermo nel tempo, inadeguato ai miei scatti di inquietudine, avevo preferito soggiornare all’albergo Elba, anziché nella casa paterna, come turista di una terra conosciuta.
Il padrone dell'albergo, Giovanni, cresciuto con mio padre Pierino, ci aveva avvertiti orgoglioso del tuo arrivo 'Arriva da Firenze, Bice, proprio come te. E’ in Italia per recuperare le forze e l'ispirazione lirica. Non ha mai un penny, dilapida tutto in solenni bevute' 'E come si può permettere, dunque, un viaggio in Italia? ', gli chiesi incuriosita, togliendomi gli occhiali e alzando gli occhi da una raccolta di Montale, il mio poeta preferito. 'Lo ha aiutato una poetessa, un'aristocratica eccentrica, proprietaria di un castello vicino a Firenze. D'altronde è sempre stato sostenuto da tutta la comunità intellettuale, che riconosce il suo genio'. Il mio primo moto di antipatia nei tuoi confronti fu forte e immediato: tu, genio compreso, venivi sostenuto nel tuo stile di vita deliberatamente dissoluto, mentre mio padre, e gli altri come lui, i minatori con i muscoli induriti come ferro, prostrati dal peso di enormi cumuli di minerali da caricare sui bastimenti, non venivano sostenuti da nessuna associazione, da nessuna ‘comunità’.
Vederti comparire all’orizzonte fu nello stesso tempo una teofania e una cocente delusione. Avevo associato le parole “poeta gallese” a qualcosa di terribilmente eccentrico, quanto affascinante e misterioso. Ti presentasti in albergo trascurato nell’aspetto, con una camicia sbottonata e impregnata di sudore, pantaloni verdi stropicciati che si agitavano ad ogni refolo di scirocco; il naso tondo e irregolare spiccava in un faccione in cui nulla trovai di bello, se non uno sguardo curioso e indagatore. Insieme a te, una donna dai capelli rossi scarmigliati e dall'aspetto ribelle, evidentemente gonfia di alcol come te. Due bellissimi marmocchi, un maschio e una femmina dai nomi impronunciabili, e tua cognata con un figlio completavano la piccola comitiva, che pareva provenire non da una villa fiorentina, ma dal Quarto stato di Pellizza da Volpedo. Subito si presentò anche un poeta originario di Rio, Luigi Berti, mentre Giovanni si precipitava a mostrarvi le stanze, delle quali prendeste rumorosamente possesso. Dopo meno di un’ora ti rividi seduto in una bettola con mio padre Pierino, che sarà anche stato 'il personaggio più popolare dell'isola', ‘il termometro dell’intera comunità’, come amava definire se stesso, ma che era anche, come te, un devoto della bottiglia. Tu fingevi di prestargli attenzione, benché ti annoiasse il suo chiacchiericcio espresso in una lingua di cui non capivi una parola: evidentemente lo sopportavi per la complicità immediatamente nata davanti a fiaschi e a lattine di birra.
Il peggio, però, doveva ancora arrivare, in quell’albergo fino a quale momento tranquillo, silenzioso, dove mi godevo la lettura dei miei poeti preferiti: le liti con tua moglie Caitlin sembravano scuotere le sue mura pur possenti, seguite dal pianto dei bambini, e dalle porte regolarmente sbattute. Vi insultavate, vi accusavate reciprocamente di sperperi e di tradimenti, infuriati dall'idea di amarvi, di appartenere profondamente l'uno all'altra. Poi, dopo pochi minuti, vi vedevo scendere insieme sottobraccio, mentre la cognata accudiva i bambini, per andare a farvi insieme una bella bevuta, come se nulla fosse successo, e il giorno dopo la cameriera trovava frammenti di lettere appassionate, in cui la definivi la donna più bella del mondo, l'unica della tua vita, in quel vortice di passione e di rabbia che scandiva la vostra storia. Neppure quando componevi lo facevi in silenzio, come mi aspettavo facessero i poeti: nel corridoio, immerso nel silenzio irreale delle prime ore del pomeriggio, ti sentivo declamare parola per parola ciò che scrivevi, con suoni sospesi fra la musica e la parola, suoni ancestrali che rievocavano abissi bellissimi e paurosi... Poi all’improvviso ti sentivo gridare, “Maledetto questo caldo infernale!”, e le imprecazioni erano seguite da una serie di tonfi acquatici. Eri tu, che immergevi la testa in un catino d’acqua (quando c'era), per liberarti dalla tortura del sudore che ti scendeva copioso sul viso e ti annebbiava la vista. Chi potevo definire poeta: l'autore dei versi meravigliosi e visionari che avevo incominciato a leggere, e che cantavano la morte, l'amore, la Natura, l'unità drammatica ed estatica del creato, o l'uomo sgraziato, dal volto di giovane Bacco che imprecava, che beveva fino all'abbrutimento, tanto da farsi riportare a braccia in albergo?
“La birra fredda è Dio in bottiglia!”, berciavi compiaciuto nelle osterie, facendo il gesto di strapparti gli abiti di dosso, come un Orlando Furioso. Peccato che alla birra fredda seguissero innumerevoli bicchieri di vino, a ristabilire la torrida temperatura iniziale.
Ma a darti refrigerio, c'era un altro Dio. Il mare. Arrivavo correndo e mi spogliavo in fretta per immergermi in quell'acqua limpida, in quell'azzurro in contrasto con il nero della spiaggia e dopo la lunga nuotata, percorsa da un brivido nonostante il caldo, ti cercavo con lo sguardo, incuriosita dall'essere irreale che apparivi in quel contesto. Dopo pochi giorni la tua pelle bianchissima, ustionata dal sole implacabile, si era letteralmente accartocciata lasciando larghe chiazze rosse sulla tua schiena, sulle tue braccia grassocce, 'come un manifesto sotto la pioggia', ti sentii poi dire ridendo. Non sapevi nemmeno stare a galla, ma avevi trovato una specie di tinozza fra una corolla di scogli, in cui ti sedevi facendo emergere solo la testa,- la cicca sempre penzolante fra le labbra-, o a volte le braccia, per poter leggere un libro o prendere appunti.
Ti trovasti bene qui, in questa atmosfera semplice e primitiva di questo piccolo centro minerario che ti ricordava la tua Swansea, fra questa gente che ti capiva senza parole, che ti offriva l'assaggio di zuppa di pesce o un bicchiere di bianco, e ti aveva fatto dimenticare i letterati fiorentini, 'rarefatti e mollicci' che tu, poco incline agli intellettualismi, e alla ricerca continua dell'autenticità, trovavi insopportabilmente ridicoli nella loro prosopopea.
Non era ancora trascorsa una settimana, che già eri stato adottato da tutto il paese, e non c'era riese che non interrompesse le sue occupazioni abituali per fermarsi al tuo passaggio nei vicoli, fra le case incrostate di salmastro, sulle scale di pietra dove ritrovavi il viavai di asini e capre del tuo Galles; per scambiare un saluto con te, e per ridacchiare, anche, del tuo perenne stato di ebbrezza, di quel tuo enorme camicione rosa che indossavi sui soliti pantaloni verdi, ma senza malizia, come si fa con un amico bizzarro.
Una sera, avvistandoti all'improvviso sulla cresta di una collina, immobile forse per respirare 'l'aria alta', il tuo profilo stagliato nel blu scuro della notte, con quel camicione al vento, come una tonaca impazzita, con l'incredibile copricapo simile a una mitria vescovile, mi apparisti una divinità emersa dalla Natura e ricordai all'improvviso gli immortali frammenti di Saffo. Ille mi par esse deo videtur, mormorai fra me e me… E il giorno dopo scambiai qualche parola con te, finalmente, per esprimere la mia ammirazione per il suo immenso talento, nel mio inglese scolastico che tuttavia apprezzasti, tanto da sottrarre dalle mie mani il volume con le tue poesie per scrivermi una dedica, proprio sull'incipit di And death shall have no dominion, la mia preferita. Come fra due animali che si annusano fra di loro, il mio linguaggio incominciò a confrontarsi, a strofinarsi con il tuo, per incontrarsi infine in uno comune. E mi ritrovai a sorridere al tuo allegro “Bice! You are always reading poems!”, ammaliata io stessa, dapprima così diffidente, improvvisamente intenerita dalla gioia con cui ammiccavi alle più sfrenate esperienze dei sensi, da quella tua eterna giovinezza racchiusa in un corpo adulto; inesorabilmente attratta da quella sorta di incantamento generale che aveva irretito tutto il paese. Arrivò il tuo ultimo giorno di permanenza a Rio, e fosti tu stesso ad invitarmi sotto un pergolato per una recita d'addio. Fu la prima volta in cui recitasti quel capolavoro che avevi scritto durante il tuo soggiorno qui, In Country Sleep.
La tua voce suadente declamava i versi esaltandone il ritmo, restituendo ad ogni parola il suo colore e la sua particolare natura, e accompagnava alla dizione una vibrante, arcaica teatralità. Certamente nessuna, fra le persone presenti, riusci a comprendere il significato di quella ridda di metafore, di associazioni mentali che popolavano la tua poesia, né ad intuire la perfezione stilistica delle tue composizioni, ma tutte ti ascoltarono impietrite, in un silenzio irreale. Tutte intuirono di trovarsi di fronte a un fuoco sacro, a una visione, a un miracolo, e quando il tuo volto si imperlò di lacrime incontenibili, lessi la commozione anche su quei volti antichi, temprati dalle fatiche, duri come le miniere.
Dylan, avevi scritto un racconto incantevole sulla tua infanzia gallese, in cui il Natale era contrassegnato da Regali Utili e Regali non Utili. Io penso che tu sia stato il Regalo più Utile di quel mio compleanno, e della mia lontanissima giovinezza che, per un frammento di eternità, si intrecciò alla tua stagione di vigore creativo.
E' per questo che, quando ricordo quell’estate, quella spiaggia scura di ematite, e scura di ragazzini abbronzati, rivedo te, che sul nero brilli bianchissimo. Come una perla, come l'innocenza, come un fiore raro .. Come la Poesia.
Marina Rota
Marina Rota.
Giornalista, consulente artistica di festival e rassegne letterarie, organizza incontri letterari e presentazioni di libri e di mostre. Scrive per varie testate occupandosi d'arte e letteratura; e fra gli altri ha intervistato Carlo Fruttero, Guido Ceronetti, Dario Argento, Alberto Arbasino, Vittorio Sgarbi. Per il Centro Pannunzio ha organizzato convegni su Guido Gozzano, Elémire Zolla, Guido Ceronetti, Gabriele D'Annunzio. Ha pubblicato Il Sillabario, ed Gribaudo , con la prefazione di Vittorio Sgarbi e Amalia, se Voi foste uomo... con la prefazioni di Claudio Gorlier e Vittorio Sgarbi. E' stata recentemente pubblicata la biografia del professor Mauro Salizzoni, Un chirurgo tra bisturi e cronometro, con prefazione di Piero Bianucci. Per la sua attività ha ottenuto numerosi riconoscimenti, quali il primo premio di giornalismo Mario Soldati, il primo premio di saggistica Mario Pannunzio, il primo premio di poesia Guido Gozzano, il premio internazionale Città di Cattolica.
Digital Collage by Lidia Chiarelli (from an original photo by Nora Summers)